giovedì 7 gennaio 2016

Della serie "Ma chi me lo fa fare?" - Perchè è necessario il cambiamento

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.

Martha Medeiros

È proprio necessario il cambiamento?

Abbiamo detto che appartiene a tutti, presto o tardi nella vita, l’esperienza di un periodo di crisi. Uno stato malessere, anche difficile da definire, che può prendere varie forme e originare sia da qualcosa di esterno a noi, che ci capita tra capo e collo (la fine di una relazione, la perdita del lavoro, un lutto e così via), che da qualcosa di interno (pensieri e ragionamenti sulla vita che conduciamo, insicurezze, ansie, ecc…). Non si tratta di nulla di patologico, anche se porta con sé sofferenza e malessere, ma si tratta di fisiologici avvenimenti dell’esistenza: prendono il nome di crisi esistenziali, appunto.

Ad ogni azione, una reazione uguale e contraria - Il fatto è che è molto molto difficile che, qualora si tratti di crisi di lunga durata e di grande portata, si risolva da sé, senza fare nulla, come si può spontaneamente risolvere un periodo di crisi adolescenziale che si vive proprio in funzione dell’età e che, quindi, crescendo, passerà (anche se non sempre è ovvio nemmeno questo).Qualcosa deve accadere, qualcosa si deve fare. Molto semplicemente, non si può pensare di ottenere una nuova vita continuando a fare le stesse cose. E allora, o ci viene miracolosamente in aiuto la vita stessa, inviandoci appunto un miracolo, o bisogna agire di propria iniziativa. Così come, volendo cambiare lo stile di vita virando verso un comportamento più salutare, è impensabile riuscire ad ottenere un fisico più sano e prestante senza introdurre cambiamenti nell’alimentazione, nel consumo di alcool e tabacco e nell’attività fisica, allo stesso modo è impensabile riuscire ad ottenere una vita serena, soddisfacente e più aderente ai nostri valori profondi se per esempio non si mettono in atto scelte a volte anche difficili o se non si modifica il proprio atteggiamento verso gli avvenimenti. Sarebbe come aspettarsi di vedere ritornare indietro la pallina lanciata contro un muro, in maniera diversa dalle volte precedenti, anche se la lanciamo sempre imprimendo la stessa forza, dalla stessa distanza e dandole la stessa inclinazione.


La legittimazione a non intervenire - Intendiamoci, dipende cosa si vuole ottenere: è chiaro che non è obbligatorio voler ottenere qualcosa di diverso o di nuovo, è più che legittimo scegliere di tenere tutto com’è, l’importante è che si sia consapevoli di alcuni aspetti della situazione:

1. il malessere legato alla crisi non passerà, anzi, probabilmente aumenterà, evolverà in qualcosa di peggio oppure ne verremo assuefatti e ci inventeremo sempre più modi per zittirlo, benché lui continui a lavorare in profondità.
2. ci stiamo deliberatamente privando della possibilità di vivere una vita “migliore” nel senso di più aderente a noi stessi e ai nostri valori, una vita di cui essere più felici e soddisfatti, e del gusto di percepire il senso profondo di un’esistenza che per sua natura ci chiede di evolvere.
3. stiamo scegliendo di andare contro ad una legge naturale della vita, la quale, in tutte le sue forme, non contempla l’immobilità.

Il cambiamento consapevole - Se, invece, dal pantano della crisi vogliamo uscire e vogliamo ridare un Senso alla nostra quotidianità, l’unica azione fattibile e sensata è intraprendere un percorso di cambiamento consapevole. Perché consapevole? Perché se avvenisse da sé, senza che ce ne rendessimo conto, senza soffermarci a comprendere cosa è avvenuto dentro di noi e senza aver partecipato attivamente alla creazione del cambiamento stesso, rischieremmo di non imparare nulla e quindi di non riuscire a riutilizzare gli stessi strumenti acquisiti in un’altra occasione, e ci sembrerebbe qualcosa di regalato dall’alto come per magia, o di capitato per fortuna, e di nuovo avremmo la sensazione di essere in balìa di qualcosa che non possiamo controllare, mentre invece la responsabilità della riuscita è nostra.
Ecco quindi che il cambiamento si rende necessario se non vogliamo stare ad aspettare il colpo di bacchetta magica che sistemerà tutto quello che non va ma che, verosimilmente, non arriverà mai. Se non nei cartoni animati della Disney.

“Mpfh…io me la sono cavata da solo!” - Non credete a chi vi confida che ha vissuto un periodo di crisi ma che ora sta bene, ora è tornato a fare la vita di prima e tutto è passato così come è venuto. Le possibilità sono due: se la sta raccontando, non ha risolto nulla e ha solo trovato un modo (temporaneo) per zittire il problema, oppure qualcosa è davvero cambiato, ma allora è anche accaduto qualcosa, solo che la persona non ne è consapevole. In questo secondo caso, in un certo senso le è andata bene, evidentemente il sistema psicofisico di questa persona è riuscito da sé a riorganizzarsi in una maniera nuova e funzionale e/o qualcosa di esterno è intervenuto a modificare in maniera positiva delle circostanze, ma a mancare è tutto l’aspetto fondamentale di assimilazione cosciente che fa davvero la differenza tra una semplice riorganizzazione interna e un’evoluzione consapevole dell’individuo.



Medeiros M., Lentamente Muore, trad. italiana reperibile in rete dell’originale A Morte Devagar, pubblicato su Zero Hora del 1/11/2000

venerdì 11 dicembre 2015

Il cambiamento come viaggio - parte 2


"Always together" di Hossein Zare


Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Costantino Kavafis - Itaca
 

Mi rendo conto che sto dipingendo un quadretto allettante come un piatto di pastina sciapa quando si ha molta fame. Purtroppo corrisponde allo stato delle cose. Tuttavia, è un percorso necessario.
Anche Dante deve attraversare Inferno e Purgatorio per arrivare al Paradiso.
Anche Frodo deve attraversare Mordor per distruggere l’Anello.
Persino Harry Potter, nonostante sia un mago, non può semplicemente agitare la bacchetta magica ma deve combattere Voldemort.
Harold Fry vive molti momenti di sconforto, in cui per il dolore fisico, la pioggia, la fame, la paura o la sensazione di non avere nessuno a cui appoggiarsi, è convinto che fallirà e pensa di tornare a casa.
 
<<L’ultimo tratto fu il più duro. Harold non vedeva che la strada. Non aveva più pensieri. La ferita alla gamba destra si era infiammata di nuovo, costringendolo a zoppicare. Non trovava nessun piacere in quello che stava facendo: era in un luogo in cui il piacere non esisteva. Un nugolo di mosche gli circondava la testa. A volte si prendeva qualche morso. O qualche puntura. I campi erano immensi e vuoti, le auto venivano trascinate lungo le strade come giocattoli. Un’altra vetta. Un altro cielo. Un altro chilometro. Era tutto uguale, sempre. E lo annoiava e lo sfiniva al contempo, spingendolo a gettare la spugna. Spesso dimenticava dove stava andando.>>

Nessuno di loro era da solo: Dante aveva come guida Virgilio e poi Beatrice, Frodo viaggiava con la Compagnia dell’Anello e Gandalf, Harry Potter aveva i suoi amici maghi, gli insegnanti di Hogwarts e Silente.
Harold è circondato dal supporto di molte persone: della moglie Maureen e del vicino di casa Rex, che da lontano, seppur dapprima diffidenti e arrabbiati, lo aiutano più volte, e delle tante persone che incontra durante il cammino, ognuna delle quali contribuirà per un pezzetto al cambiamento di Harold e da lui e si lasceranno cambiare un po’ a loro volta.
 
<<[…] Harold fu pervaso da un senso di leggerezza che lo fece sorridere. Capì che il suo viaggio a piedi, quel camminare per espiare i propri errori, era anche un modo per accettare le stranezze degli altri. Essendo di passaggio, si trovava in un luogo dove tutto, non solo gli spazi, era aperto. La gente si sentiva libera di parlare, e lui era libero di ascoltare. Di portarsi via un po’ di loro.
[…] (Maureen) si era proposta una sfida: ogni giorno senza di lui, avrebbe fatto una cosa nuova. […] Si legò persino un foulard di seta attorno ai capelli, come ai vecchi tempi. >>

Intraprendere il viaggio da soli infatti è, se non impossibile, estremamente arduo.
Essere accompagnati è estremante utile, e il counselor fa questo. Per un percorso del genere, occorrono l’obiettività che si po’ ricavare solo avendo di fronte qualcuno che sa farci da specchio senza mettere in mezzo fantasie sue, servono la condivisione con qualcuno che non giudichi, ma che si limiti ad ascoltare e ad accettare. Serve un’alleanza con qualcuno che non ostacoli il cammino, neanche con buone intenzioni, un sostegno quando il terreno si fa accidentato, un complice che ci permetta di godere dei risultati e di restare consapevoli e centrati su quello che sta avvenendo. Serve qualcuno che non metta fretta, ma neppure che ci lasci crogiolare troppo nell’attesa, qualcuno che ci comprenda ma che non ci faccia indulgere in scuse per non proseguire. Qualcuno a cui dare temporaneamente in consegna il peggio di noi stessi mentre con umiltà ci mettiamo a passarlo in rassegna, ma che lo custodisca come un tesoro segreto.
 
“Sì ma che sbatti!” vi sento sbuffare.
Ni.
Per certi versi è vero, ma ad un certo punto ci si rende conto che si è preso gusto. Si sta meglio, i primi cambiamenti si fanno vedere, o anche no, ma “semplicemente” si sente nel profondo che si sta facendo la cosa giusta. Che finalmente cominciamo a sapere di più chi siamo, cosa cavolo vogliamo e cosa no nella nostra vita, e impariamo a cercare di ottenerlo. E’ come se ci venisse riconsegnata la nostra esistenza, che era già nostra, ma poiché prima era data per scontata, solo ora è davvero nostra.
Ne vale la pena?
 
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,

e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero, che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato

per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. E’ festa: la tua vita è in tavola.
 
Derek Walcott - Amore Dopo Amore
 
 

Joyce R., L'Imprevedibile Viaggio di Harold Fry, Sperling&Kupfer, 2012

Kavafis C., Itaca

Walcott D., Mappa del Nuovo Mondo, Adelphi, Milano 1992
 
 

giovedì 3 dicembre 2015

Quando la Scelta dà inizio al cambiamento - parte 1


"Frustrado" di Hossein Zare, da http://hosseinzare.35photo.ru

Immaginiamo che la Crisi ci abbia travolti, con tutto il suo carico di sofferenze, disagi, malessere, inadeguatezze e sconvolgimenti della conosciuta “normalità”.
Immaginiamo però anche che si riesca a trasformare tutto ciò in una scelta: che si decida quindi di fare qualcosa, di rimboccarsi le maniche per uscirne. Che accada quel qualcosa, dentro o fuori di noi, che fa scattare un interruttore, che ci fa giungere al punto di non ritorno.

Nel romanzo “L’Imprevedibile Viaggio di Harold Fry” di Rachel Joyce, Harold è un uomo in pensione che vive con la moglie in un paesino del Dorset. Riceve una lettera da parte di una vecchia amica alla quale, nonostante non la veda da tantissimi anni, si sente molto legato dal ricordo affettuoso e, si scoprirà poi, da un grande debito. La donna, Queenie, è allo stadio terminale di un cancro e si trova in una casa di cura in un paesino ai confini con la Scozia. Harold è sconvolto dalla notizia, le scrive un biglietto in risposta ed esce per imbucarlo, ma qualcosa si accende dentro di lui e, invece di fermarsi all’ufficio postale continua a camminare. Sceglie: in breve decide che camminerà per circa 800 km, fino ad arrivare al capezzale di Queenie, convinto che questa folle impresa la salverà.
 
<<Harold non era il tipo da prendere decisioni improvvise. Lo sapeva. Da quando era in pensione, le giornate passavano e niente cambiava; […] raggiunta la buca delle lettere successiva più rapidamente di quanto avesse immaginato, si fermò di nuovo. Aveva dato il via a qualcosa, non sapeva che cosa, e ora che la stava facendo non era pronto a portarla a termine. La fronte cominciò a imperlarsi di sudore; il sangue gli pulsava per la trepidazione.>>
 
Inutile dire che non sarà così, ovviamente, ma il viaggio di Harold si trasforma in un pellegrinaggio, in un’avventura che prima ancora che concreta è psichica. Durante gli 800 km a piedi, Harold affronterà ricordi, dolori dimenticati, fatti irrisolti e paure, cambierà e costringerà a cambiare chi gli sta accanto e tutta la sua esistenza.

<<Harold sarebbe stato il primo a riconoscere che nel suo piano c’era qualche particolare da mettere a punto. Non aveva né scarpe da trekking né una bussola, per non parlare di una cartina o di un cambio di abiti. La parte meno programmata del viaggio, tuttavia, era il viaggio stesso. Non sapeva che avrebbe camminato finché non aveva iniziato a farlo.>>
 
Già perché indietro non si può tornare: deve essere chiaro fin da subito, non si ritorna più come prima. Si può solo o stare fermi nel pantano e nelle sabbie mobili del malessere, o andare avanti. Poiché la prima ipotesi è incompatibile con una vita che non sia un mero vegetare, se si vuole davvero vivere, non resta che andare avanti. Che si cerchi di fare da soli, che si chieda l’aiuto di qualcuno (una persona amica o un professionista), che si inizi andando un po’ a casaccio o si abbia già ben chiaro cosa fare, solo una cosa ci serve: il cambiamento. E si tornerà a funzionare, ma non come prima, ma in un modo nuovo, né migliore né peggiore, semplicemente diverso e più adeguato e funzionale a ciò che si è diventati.
 
Detto così suona molto semplice. Ma, poiché non si sta parlando di cambiare auto o casa, o taglio di capelli, o lavoro, o partner, ma si sta parlando del Cambiamento quello con la C maiuscola, è inutile prendervi in giro: non è per niente facile.
Non è semplice.
Non è veloce.
Non è lineare.
Non è spassoso.
E’ complesso (ma non inutilmente complicato!).
E’ lento.
E’ labirintico.
E’ emozionalmente variegato.
 
<<Il tallone gli pizzicava e la schiena gli doleva, e cominciava a bruciargli la pianta dei piedi. Anche il sassolino più piccolo gli procurava dolore; doveva fermarsi di continuo per togliersi la scarpa e svuotarla. Ogni tanto gli si piegavano le gambe senza ragione, facendolo inciampare. […] Eppure, nonostante tutto, si sentiva intensamente vivo.
[…]Lui era già diverso dall’uomo partito da Kingsbridge, e persino da quello ripartito dall’alberghetto. Non era l’uomo uscito di casa per andare a imbucare una lettera. Lui stava andando a piedi da Queenie Hennessy. Lui stava ricominciando da capo.>>
 
Parliamo di un Cambiamento interiore, che in seguito sicuramente si rifletterà all’esterno, ma che non può essere reale e duraturo se, appunto, non parte dalla nostra profondità.
Per essere tale, necessita di impegno, motivazione, tempo, pazienza, cura per sé e amore per il processo che si sta iniziando. Sarà un viaggio, un percorso, a volte labirintico, a volte più lineare. A volte si procederà più spediti, altre si avrà l’impressione di girare in tondo, a volte ci sentiremo i re del mondo tanto saremo euforici, altre ci sembrerà di essere i più sfigati della Terra tanto saremo depressi. A volte ci sentiremo in totale comunione con gli altri esseri viventi, in una specie di delirio mistico, altre ci sentiremo soli come l’ultima patella in balìa delle onde del mare.

Joyce R., L'Imprevedibile Viaggio di Harold Fry, Sperling&Kupfer, 2012







mercoledì 25 novembre 2015

La Crisi è una scelta, LA Scelta - parte 2

Relativity - M. C. Escher, 1953
 
 
 
Testualmente, dal vocabolario online Treccani:
 criṡi (ant. criṡe) s. f. [dal lat. crisis, gr. κρίσις «scelta, decisione, fase decisiva di una malattia», der. di κρίνω «distinguere, giudicare»]. –
1. Nel linguaggio medico:
a. Repentina modificazione, in senso favorevole, o anche sfavorevole, di stati morbosi […]
b. Particolare stato morboso o fenomeno fisiologico […]
c. Esacerbazione o insorgenza improvvisa di fenomeni morbosi violenti e di durata relativamente breve […]
d. Per estens., nel linguaggio corrente, breve e violento accesso di uno stato emotivo, per lo più determinato da uno choc o da cause esterne: avere una c. di nervi  […]
2. Stato di forte perturbazione nella vita di un individuo o di un gruppo di individui, con effetti più o meno gravi: essere in c., attraversare un momento particolarmente difficile; mettere in c., in situazione di grave difficoltà; analogam., andare in c., entrare in c., superare una crisi. In partic.:
a. Con riferimento alla vita interiore, c. di coscienza o c. morale, turbamento psichico che insorge a causa dell’incapacità dell’individuo a risolvere certi problemi della sua vita, o per conflitti affettivi, o per l’azione dell’ambiente nel quale egli vive e opera: avere una c. di scoraggiamento, di sfiducia; le c. dell’adolescenza […]. Nel linguaggio corrente, attraversare una c. spirituale, religiosa, avere una c. di coscienza, essere agitato da problemi di natura spirituale o religiosa, oppure da passioni, da sentimenti contrastanti, […]
b. Nello sport, situazione di un atleta o di una squadra che subisce una serie di sconfitte consecutive […]
3.
a. Con riferimento a fenomeni economici, sociali e politici, […] stato più o meno permanente di disorganicità, di mancanza di uniformità e corrispondenza tra valori e modi di vita: la c. della società, la c. del sistema o di un sistema, la c. dei valori, la c. della civiltà, ecc.
In senso più concr., ogni situazione, più o meno transitoria, di malessere e di disagio, che in determinati istituti, aspetti o manifestazioni della vita sociale, sia sintomo o conseguenza del maturarsi di profondi mutamenti organici o strutturali: la c. delle istituzioni; la c. della famiglia, la c. della coppia, ecc.
b. Nel linguaggio economico, spec. nell’economia classica, il termine designa propriamente la fase del ciclo economico che è conseguenza del verificarsi di una situazione di sovrapproduzione generalizzata, le cui caratteristiche fondamentali sono il passaggio rapido dalla prosperità alla depressione […]
c. In senso politico, impossibilità di funzionamento di un organo dello stato, di un ente pubblico o altro, determinata da dimissioni, morte, contrasti interni, o da altre cause […]
 
Osservando il significato originario del termine “crisi”, si nota l’assenza del valore negativo che invece la parola ha assunto nel linguaggio comune moderno. È, anzi, proprio assente qualunque sfumatura sia in senso positivo che negativo: “crisi” indica in maniera neutra una scelta, una fase di decisione e di distinzione.
Già questo potrebbe bastare a farci ragionare su una cosa: siamo abituati a considerare un periodo di crisi solo ed esclusivamente come qualcosa di spiacevole. Una sfiga. Una seccatura, o peggio, una sofferenza inutile. La degna conclusione di un susseguirsi di “cose che sono andate male”, come se il tutto fosse capitato per colpa di qualcuno di non ben identificato.
“E’ colpa dello stress”.
“Sono gli altri che mi mandano fuori di testa”.
“Mi hanno incastrato in una vita che non volevo”.

Cominciamo magari a considerarla diversamente. No, non vi dirò di considerarla un’Opportunità, perché non ho nessuna voglia di venire insultata! Però consideriamola per quello che vuole dire: una scelta. Né positiva, né negativa, semplicemente una scelta. Un messaggio tutt’al più, da parte di qualcosa dentro di noi che ci vuole scuotere e che ci sta dicendo: “Ohi, la situazione è questa. Che si fa? Sta a te.”
La sofferenza rimane, eccome, ma poiché è una scelta, implica che sia chi la vive a decidere. C’è un bel margine di controllo, non c’è nessuna sfiga che si abbatte implacabile.
 
<<Era paura? Sì, tecnicamente era paura – l’Ignoto si era manifestato proprio in quel bosco, e io lo stavo attraversando -, ma alla fine era meno paura di quella che provavo ieri, di quella che provo tutti i giorni a casa mia. Era paura fresca, vitale, provata mentre facevo qualcosa di attivo e intenzionale – e questa paura non paralizza e non deprime come quella melmosa e febbricitante nella quale stagnavo fino a ieri, quando ero solo spettatrice, lontana, passiva, inebetita.>>

Sia Vatanen de “L’Anno della Lepre” che la dottoressa Gassion di “XY”, nella loro crisi, scelgono.
Il primo sceglie di inoltrarsi nel bosco con la lepre ferita invece di tornare alla sua vita ad Helsinki, la seconda sceglie di rintanarsi tra i monti a Borgo San Giuda per aiutare don Ermete a rimettere insieme i cocci di quella comunità traumatizzata, invece di restare al sicuro della sua tranquilla ma nevrotica vita.
 
<<E, di nuovo, la possibilità di scoprirmi inadeguata mi spaventa, certo, ma è una paura che non vedo l’ora di affrontare, perché non mi raggiunge nel mio tinellino dell’Ikea dal quale cercavo di tenerla fuori, non filtra da sotto le porte, non mi raggiunge attraverso la linea telefonica o la televisione: questa paura me la sono scelta, mi ci sono buttata a capofitto, è mia.>>
 
La scelta, allora, anche una sola e apparentemente banale scelta, se presa con consapevolezza e impegno (con sé stessi e con nessun altro) può innescare una serie di conseguenze inimmaginabili anche solo un attimo prima, che, cavalcate come un’onda, conducono piano piano al cambiamento.
Tutto questo può terrorizzare, certo. Molto più semplice e tranquillizzante rimanere nel proprio pantano: per quanto la situazione faccia schifo, almeno è conosciuta.
 
In queste buie stanze dove passo
giornate soffocanti, io brancolo
in cerca di finestre. Una se ne aprisse,
a mia consolazione. Ma non ci sono finestre
o sarò io che non le so trovare.
Meglio così, forse. Può darsi
che la luce mi porti altro tormento.
E poi chissà quante mai cose nuove ci rivelerebbero.
 
Constantino Kavafis
 
E allora ci inventiamo scuse, con noi stessi e con gli altri, più o meno consapevolmente. Rimandiamo le decisioni, banalizziamo e sminuiamo il nostro malessere, lo imbavagliamo cercando distrazioni e sballi, oppure lo usiamo come arma contro gli altri o ne facciamo un personaggio da esibire, indossiamo maschere e ce la raccontiamo.
E’ normale avere paura, è legittimo scegliere di rimanere nel pantano, ma se si vuole la Libertà c’è prima un viaggio da percorrere, in cui le scelte saranno molte.
 
<<Ho finalmente cambiato il personaggio nella storiella
quella del viandante e del contadino
gli unici personaggi previsti dal copione
o si è uno o si è l'altro
o si è il viandante che si perde nella campagna
o si è il contadino che zappa il campo
o si è il viandante che si avvicina al contadino e gli chiede per favore la strada per la stazione più vicina
o il contadino che continua a zappare e gentilmente gli risponde che non la sa
o si è il viandante che allora gli chiede la strada per la fermata degli autobus più vicina
o il contadino che continua a zappare e gentilmente gli risponde di non sapere nemmeno quello
o si è il viandante che sono sempre stata nella vita e che a quel punto dice al contadino scusi ma lei non sa proprio niente
o si è il contadino che poi è come mi sento adesso con questa forza immensa che sono finalmente riuscita a trovare
mentale ma anche fisica [...]
è bellissimo finalmente è Gesundheit finalmente è salute è terreno solcato da un carro solo [...]
e insomma o si è il viandante che sono sempre stata che accusa il contadino di non sapere niente
o si è il contadino che sarò da ora in poi e che gentilmente e continuando a zappare gli risponde
sì signore è vero signore io non so niente signore ma quello che si è perso è lei>>.
 
 
 
Kavafis C., Le finestre
 
Veronesi S., XY, Fandango Libri, Roma 2010

mercoledì 18 novembre 2015

La Crisi è la crosta che ricopriva la vita che comincia a creparsi - Parte 1


2010 by Matthew Christopher of Abandoned America




Ognuno ha le sue prigioni
ognuno ci convive
ma quando le pareti cominciano a
restringersi
le facce diventano anonime
quando lo specchio comincia a darti del
tu
quando i marciapiedi ti provocano
vertigini
e la strada sembra il tuo tappeto rosso
metti insieme il tuo bagaglio
riempilo di ricordi
speranze
parole
storie vissute e storie da vivere
riempilo di emozioni
musiche
illusioni d’epoca
domande e risposte
trovati un amico e comincia la
condivisione
vai a caso
lascia le tue lacrime sul cuscino
incontrati con la vita
scontrati con il dolore
[…]
Vincenzo Costantino – Le 100 Città


Accade che si avverte uno stato di malessere non ben definito. E’ un rumorino di sottofondo, come il parlottìo dei vicini di tavolo al bar che si intrufola nell’audio della nostra telefonata quel tanto da renderla un po’ confusa ma non abbastanza da impedirci di sentire cosa ci viene detto. La vita di tutti i giorni continua. Capitano momenti, frazioni di nanosecondi di esistenza in cui il rumore di sottofondo diventa una voce un po’ più nitida: appena prima di addormentarci, nelle ultime pagine di un romanzo che ci ha fatti sentire coinvolti, nel buio del cinema di fronte ad un film che ci emoziona.
Non accade nulla di eclatante: nulla di troppo bello, nulla di troppo brutto. O, se accade, ci sfiora appena. E’ tutto molto da 6 politico in matematica alla fine del semestre. Che, poiché non è un 5 e né tantomeno un 3, dovrebbe andare bene, no? Eppure.
Qualche volta ci mettiamo addirittura a fare un bizzarro resoconto della nostra quotidianità, per dimostrare a noi stessi che ci stiamo facendo delle paturnie inesistenti:
Lavoro? C’è.
Famiglia? Resiste.
Coppia? Galleggia.
Sesso? Calendarizzato.
Salute? Conforme all’età anagrafica. Forse un po’ il colesterolo che, ma sai, le feste.
Amicizie? Stanno.
Svago? Sopravvalutato.
Vacanze? Agosto.
Spiritualità? Cresima nell’89.
Bon: abbiamo tutto. Di che ci lamentiamo? Non siamo mai contenti!
In genere a questo punto arriva il lampo di genio, la spiegazione che va bene per tutto: "è solo un momento, passerà".
Per le femminucce, la sempreverde "sarà il ciclo". Se si è in menopausa, "sarà la menopausa".
Se uomo, "devo scopare di più". Se si scopa, "è la crisi di mezza età".
E via così, finché non accade qualcosa di grosso. Un evento esterno, che ci costringa a ribaltare almeno uno degli aspetti della nostra esistenza (il partner ci lascia, perdiamo il lavoro, muore qualcuno di molto caro, ecc…), o un evento interno, che viene caricato di tutta la colpa del nostro malessere (un disturbo fisico mai avuto, una malattia organica, o dei sintomi emotivi: uno stato depressivo, attacchi di ansia, attacchi di panico, insonnia; o semplicemente la soglia di tolleranza verso ciò che non va si abbassa), e che si cerca di cancellare con vari espedienti in nome del sogno del Tornare Come Prima.
Errore: il problema non è iniziato con lo sfasciarsi della coppia o con gli attacchi di ansia in metropolitana. Il problema è iniziato molto tempo prima, ma non è stato ascoltato. La colpa non è di quello/a stronzo/a che ci ha cornificati né dell’ormai mitico stress, la colpa è di tante piccole cose che nel tempo si sono accumulate e che si sono minimizzate, ignorate, coperte ecc.
 
In “L’Anno della Lepre” di Arto Paasilinna, il protagonista, il giornalista finlandese Vatanen, prova tutte queste sensazioni. Subito dalle prime righe del romanzo, lo conosciamo come un uomo immerso in una triste melma di piattume esistenziale:<< Sull’automobile viaggiavano due uomini depressi. Il sole al tramonto, battendo sul parabrezza polveroso, infastidiva i loro occhi. Era l’estate di San Giovanni. Lungo la strada sterrata il paesaggio finlandese scorreva sotto il loro sguardo stanco, ma nessuno dei due prestava la minima attenzione alla bellezza della sera.
Erano un giornalista e un fotografo in viaggio di lavoro, due persone ciniche, infelici. Prossimi alla quarantina, erano ormai lontani dalle illusioni e dai sogni della gioventù, che non erano mai riusciti a realizzare. Sposati, delusi, traditi, entrambi con un inizio d’ulcera e una quotidiana reazione di problemi di ogni genere con cui fare i conti. >>

Succede che l’auto investe una lepre. I due si fermano, scendono per cercarla, ma, mentre il fotografo rimane sulla strada ed è già pronto a ripartire di fretta, Vatanen entra in una radura e si allontana verso una foresta finché non trova l’animale ferito, sparendo dalla vista del compare. Ignorando i richiami del fotografo, Vatanen medica alla bell’e meglio la lepre e cerca di calmarla accarezzandola. Il fotografo perde definitivamente la pazienza non ricevendo risposta e riparte lasciando in mezzo alla radura Vatanen che, per nulla agitato, e rendendosi conto di non avere nessuna voglia di trovare il modo di arrivare ad Heinola (dove erano diretti in auto) per i fatti suoi, semplicemente raccoglie la lepre e si incammina verso la foresta. Trascorre la notte in un fienile e al suo risveglio, vaglia le possibilità: avvisare la moglie ad Helsinki? Contattare il suo capo in ufficio per avvisare che sta bene?

<< Vatanen pensò a sua moglie, a Helsinki, e si sentì male.
Vatanen non amava sua moglie. […] Appena sposati, sua moglie aveva preso energicamente in mano l’arredamento della loro casa, del loro nido. […] Tutto, in quell’appartamento, faceva a pugni. Specchio fedele del matrimonio di Vatanen.
[…]Forse sarebbe meglio tornare a Helsinki, si disse Vatanen. Chissà cosa avranno pensato in ufficio della sua scomparsa.
Però, che ufficio, e che lavoro il suo! […] Quando era più giovane, Vatanen era felice di fare l’inviato di un grande giornale […] Gli pareva, allora, di fare un buon lavoro, certi abusi, almeno, diventavano di pubblico dominio. Ma ormai, con il passare degli anni, non si illudeva più di fare qualcosa di utile. Si limitava a fare quello che che gli chiedevano, senza neanche cercare di esprimere dubbi o critiche. I suoi colleghi, frustrati e cinici, facevano come lui.
[…] Vatanen, per la verità, prendeva un discreto stipendio, ma era sempre a corto di quattrini […]La barca però se l’era fatta, firmando cambiali. Al di fuori di quella, Vatanen non aveva altri passatempi. Sua moglie parlava qualche volta di andare a teatro, ma Vatanen non amava uscire con lei, già la sua voce l’esasperava.
Vatanen sospirò.
La luce del mattino d’estate si faceva sempre più chiara, ma quelle sue malinconiche riflessioni gli impedivano di gioirne. >>


L’ingranaggio ben oliato dell’esistenza non funziona più: non si riescono più a fare le stesse cose di prima, si sta male, improvvisamente il lavoro fa schifo, la coppia vacilla, il sesso manco si sa più cos’è, la famiglia rompe, gli amici stanno sulle palle, lo svago annoia.
E allora, è Crisi.
Com’è potuto accadere tutto questo? E, mentre accadeva, noi, dove stavamo?

 
Senza riguardo, senza pudore né pietà,
m'han fabbricato intorno erte, solide mura.
E ora mi dispero, inerte, qua.
Altro non penso: tutto mi rode questa dura sorte.

Avevo da fare tante cose là fuori.
Ma quando fabbricavano fui così assente!
Non ho sentito mai né voci né rumori.
M'hanno escluso dal mondo inavvertitamente.
Constantino Kavafis
Abbiamo detto che in genere quindi deve subentrare un qualche evento esterno o interno (o esterno che risuoni all’interno?) fortemente destabilizzante perché ci si accorga che qualcosa non va. Finalmente, l’illusione di un equilibrio è spezzata.

Nel caso di Vatanen, è l’investimento della lepre. Dal momento in cui l’uomo decide di inoltrarsi con l’animale nella foresta, decide anche di non fare più ritorno alla vita di prima. Inizia a vagare per il Paese, vive avventure divertenti, strambe o pericolose e la sua vita muta totalmente. Non sappiamo cosa sia avvenuto nella sua mente nell’istante in cui ha raccolto la lepre ferita e ha scelto di non risalire sull’auto del suo compagno di viaggio. Che si sia rispecchiato nel piccolo animale terrorizzato e sofferente e abbia deciso, prendendosi cura di lui, di prendersi cura anche di sé? Non lo possiamo sapere, fatto sta che questo evento fortuito ha mosso dentro di lui un ingranaggio nuovo.
Per Giovanna Gassion, la psichiatra – quasi psicanalista – protagonista di “XY” di Sandro Veronesi, sono due gli eventi (che Carl Gustav Jung definirebbe sincronici, non nel senso di contemporanei, ma in quanto esempi di sincronicità) sconvolgenti e inspiegabili da un punto di vista razionale che la coinvolgeranno facendo da cassa di risonanza a sconvolgimenti suoi propri, intimi e profondi. Uno, illogico (la riapertura spontanea di una ferita cicatrizzata da molti anni, in assenza di un trauma che potesse riaprirla) che rimarrebbe un episodio assurdo ma personale se non fosse contemporaneo all’altro evento, che ancora non la riguarda direttamente, e cioè la morte di diverse persone in un paesello sperduto delle montagne trentine in circostanze assolutamente inverosimili e inaccettabili da una mente razionale. La dottoressa Gassion deciderà di confinarsi nell’inospitale borgo montano per cercare, con l’aiuto del parroco del luogo, di rimettere insieme i pezzi di questa piccola comunità disgregata dalla tragedia.
Anche per Giovanna è crisi, amplificata da una crisi anche esterna e più collettiva, che coinvolge tutti gli abitanti del paesino.

 << Solo ventiquattr’ore fa ero nella mia casuccia a dibattermi nelle conseguenze di uno degli sbagli più stupidi che abbia mai commesso in vita mia, e mi sentivo frustrata, sporca, impotente, e la mia mente era un sovrameccanismo in avaria che girava attorno a un buco nero senza nessuna via di fuga – e ora, come se avessi trovato un cunicolo nello spaziotempo, sono altrove>>.


E’ crisi anche per don Ermete, il parroco del villaggio, che dice: <<già la crosta che ricopriva la mia vita cominciava a creparsi>>.
Né lei, né lui, né nessun altro coinvolto nella terribile vicenda, al termine della stessa, si ritroverà uguale a sé stesso e riprenderà la vita di prima. In mezzo, un lungo percorso, terribile in alcuni momenti, talmente bello da essere lirico in altri, doloroso, difficile, che scardinerà convinzioni, certezze, abitudini, legami.
 
Costantino V., Le cento città, da Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare, MARCOSultra, Marcos y Marcos, Milano 2010

Kavafis K., Mura

Paasilinna A., L'anno della lepre, Iperborea, Milano 1994

Veronesi S., XY, Fandango Libri, Roma 2010
 

mercoledì 11 novembre 2015

Welcome!


Benvenuta/benvenuto sul mio blog.
Mi chiamo Valentina e sono una counselor.
“Chi è una counselor?”, mi chiedi. Be’, è una persona che si occupa di counseling, ovvio!
“Grazie per l’illuminante risposta – mi dici – ma allora che cos’accidenti è il counseling?!"
Non mi sto prendendo gioco di te: descrivere esattamente cosa sia il counseling e cosa faccia un counselor in un solo post è, a mio parere, oltre che difficile – per lo meno se si vuole davvero rispondere – anche riduttivo.

Per ora, ti invio qui per una definizione standard. In quanto tale, è fredda, generica e poco concreta.
Paradossalmente, mi sembra più utile offrirti una nuvola di parole, variamente combinabili tra di loro, per permetterti di entrare nel contesto:
ascolto emozioni empatia mente e corpo parola sensazioni aiuto conoscenza di sé decisioni  sviluppo cambiamento consapevolezza sentimenti crisi silenzio comprensione  responsabilità ironia libertà autoefficacia potere personale logica etica attenzione accettazione contatto relazioni cura di sé

Se avrai tempo e voglia di seguirmi, imparerai a conoscere cos’è concretamente il counseling attraverso lo sguardo particolare che ho deciso di adottare in queste pagine. Intendo partire da una mia grande passione, ossia da testi di narrativa e poesia moderne e contemporanee, per affrontare diversi temi che riguardano la vita, interiore ma non solo, di tutti noi. Parleremo di crisi, di necessità di cambiamento, di solitudine, di amore, amicizia, di morte e lutto, e spero di molto altro. Tutto questo può sembrare di facile digestione quanto l’epico “Polpettone degli Avanzi” della nonna, ma sarà mia premura rendere la cosa ironica e leggera ma non per questo superficiale.
Mano a mano che proseguiremo, si arricchiranno la sezione riguardante il glossario, affinché tu possa recuperare velocemente eventuali definizioni di concetti più “tecnici” (per quanto, in realtà, si abbia a che fare con un linguaggio molto semplice), la sezione relativa ai link utili (scuole di counseling, associazioni di categoria dove è possibile reperire informazioni anche sulle normative vigenti in merito, ecc…) e quella relativa alle letture consigliate.
A presto con il primo post ufficiale: affronteremo il tema della crisi (giusto per partire in allegria!).